lunedì 18 settembre 2017

statue della libertà
[prima parte]

    

    Oramai, quando voglio che mi venga certificata la pazzia di qualcuno, io metto in tasca un accendino e vado a cercare Paul.
    Perché "questo è matto", come lo dice Paul di qualcuno, non lo dice nessuno di nessun altro.

    Monsieur Petroussiene ha in bocca la solita pipa spenta, e negli occhi lo sguardo di uno che quando ti guarda hai l'impressione che ti guardi attraverso.
    – Seguitemi, – dice.
    Il Parc André Citroën comprende un asse simmetrico con due serre, una larga prospettiva sulla Senna, prati sconfinati, tanta acqua.
    – Sembra Versailles, – tento.
    Paul si ferma, si volta, mi guarda male.
    – Seguitemi, – dice Monsieur Petroussiene.
    Mentre camminiamo tra una serra e l'altra, questo simpatico sessantenne coi baffi ci parla del parco e dell'arrondissement, spiegandoci tutto – la storia, il presente, le piante – tranne il motivo per cui siamo lì. Continua a tenere in bocca la sua pipa spenta, mentre io continuo a tenere in tasca un accendino che non uso, mentre Paul continua a guardare per aria e a sembrarmi, come mi succede spesso ultimamente, di gran lunga il più sano di tutti.

    Dal prato centrale, si sta alzando una mongolfiera azzurrognola col marchio delle Generali. Prima, non l'avevo notata. Si alza lentamente; dei cavi robusti, che si srotolano mano a mano, la assicurano comunque a terra.
    A me, il marchio delle Generali fa pensare alla sede delle Generali di Verona, che ci abitavo di fronte, quando abitavo a Verona. Invece, le mongolfiere, loro mi fanno pensare a Willy Fog che cerca di raggiungere San Francisco e ripete in continuazione "Rigodon, bisogna che guadagniamo più quota".
    – Chi c'è lì dentro? – chiedo.
    Paul si ferma, si volta, mi guarda male.
    – Per me ci stanno i turisti giapponesi, – dice. – I turisti giapponesi con le vertigini, – dice.
    E poi le mongolfiere mi fanno pensare a un'espressione delle mie parti: abbottapallò, che, con quell'accento sulla O, a dirla tutta, suona pure un po' francese.
    Definiscesi abbottapallò uno che le spara grosse, ma grosse, ma così grosse, che con le stronzate che racconta potrebbe gonfiarci dei palloni aerostatici e farli volare, appunto.
    – Seguitemi, – dice Monsieur Petroussiene.




    Entriamo in un giardino stretto, con dentro una grande varietà di piante e fiori e piccoli arbusti in contenitori rettangolari.
    – Non c'è davvero un motivo per cui siamo qui, – dice improvvisamente Petroussiene.
    Forse ha indovinato la mia domanda, o forse mentre ero sovrappensiero l'ho fatta per davvero a voce alta, o forse è lui che semplicemente sta seguendo un suo ingarbugliato, ma logico e personalissimo, corso dei pensieri. 
    – Diciamo che questo posto è molto vicino a due o tre posti che ci interessano, – aggiunge.
    – Una buona base di partenza, – provo ad aiutarlo.
    – In un certo senso. E comunque il giardino in cui siamo appena entrati, ci tenevo a mostrarvelo: si chiama Giardino delle Metamorfosi e richiama... sapete cosa?
    Io e Paul assumiamo controvoglia un'espressione facciale che nelle nostre intenzioni dovrebbe significare: no, cosa?
    – La trasmutazione alchemica dell'oro e del piombo, – riprende Petroussiene, con intonazione conclusiva. – Pensate sia un caso che si trovi così vicino agli altri posti di cui vi parlavo?
    Io – detto tra noi – qualche sospetto ce l'avevo già, ma adesso sto iniziando a farmi un'idea abbastanza chiara della categoria di persone a cui Petroussiene appartiene. E quelli lì – ormai lo so bene – prima o poi, gli alchimisti li tirano fuori.
    – Perché ha chiamato me? – domando, così, a salve, senza che ci sia davvero un aggancio con quello che veniva prima.
    – Sono finito per caso sul suo blog. Cercavo una stanza in affitto.
    – Deve scusarmi...
    – Mi è sembrato simpatico.
    – Il blog? 
    – Lei. E avevo bisogno di qualcuno completamente al di fuori di tutto. Possibilmente non francese. Né americano.
    – Perché?
    – Capirà presto anche questo. Comunque le consiglio di cambiare nome al blog: è piuttosto fuorviante.

    Ciò che fa preferire la veduta dalla Tour Montparnasse a qualsiasi altra veduta di Parigi è che è l'unica da cui non si veda la Tour Montparnasse. 
    In due anni e mezzo, qua sopra non c'ero ancora mai salito. È un po' cara, ma comunque è un po' meno cara della Tour Eiffel e comunque è un po' più alta della Tour Eiffel. Petroussiene ci ha offerto l'ingresso e allora, sarà per sdebitarmi sarà perché inizio ad appisolarmi, li invito a bere un caffè nel bar panoramico a 360 gradi. Ordino due espressi e un allongé, faccio mettere le tazzine in un vassoio, faccio come al solito confusione coi resti.
    (Però – permettetemi la piccola parentesi – non è del tutto un problema mio: è il loro sistema decimale che non sta in piedi: fino al sessanta tutto bene (dix, vingt, trente, ecc.), poi impazziscono e iniziano a dire sessanta-dieci, sessanta-undici, sessanta-dodici... L'ottanta è addirittura quattro-venti. Novanta è quattro-venti-dieci... Dopo due anni e mezzo – permettetemi la piccola parentesi – faccio ancora confusione.)
    – Vedete, – sta dicendo Petroussiene, sorseggiando, con movimenti francesi del palato, l'allongé. – La vista da questa torre mi riempie sempre di un'emozione particolare. Come dire... Mi tocca delle corde dentro. Mi dà un senso di... di...
    – Vomito, – conclude Paul.
    – Libertà, – lo correggo io, prima che il nostro amico possa prendersela.    
    – Esattamente, – borbotta Petroussiene. – Liberté!
    – ...egalité, fraternité, – aggiungo, facendo come per brindare, con la tazzina di caffè, che evidentemente ha iniziato pure a risvegliarmi.
    – Del resto, sapete dove è stata fabbricata la Statua della Libertà, intendo quella di New York?
    – In Francia.
    – Mais oui, mes amis. 1886. Frédéric Auguste Bertholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel.
    – Prima parlava di francesi e americani...
    – Proprio così. Lei è acuto, iniziamo ad avvicinarci... La Statua della Libertà non è altro che il simbolo di un patto franco-americano. 
    – Per...? – sembra chiedere la faccia di Paul.
    Ma Petroussiene vuole di più.
    – Per...? – chiedo io a voce.
    – Per la conquista del mondo, – si illumina Petroussiene. Quelli come Petroussiene – ormai lo so bene – quando parlano di conquista del mondo, si illuminano. 
    – ...che si fonderà di fatto sull'eliminazione di ogni libertà dell'individuo, – riprende. – Noterete la sottigliezza nella scelta dell'icona. Ma insomma, non è certo un caso che liberté sia la prima parola del motto più significativo della Rivoluzione Francese e che allo stesso tempo la Statua della Libertà (donata – notate bene – dalla Francia agli USA) sia il simbolo degli Stati Uniti.
    – Non è un caso?
    – Non è un caso. E io ne ho le prove. Ma ovviamente bisogna essere estremamente cauti, in questioni del genere... Ora ho una domanda per voi: sapete quante Statue della Libertà ci sono a Parigi?
    – A Parigi?!?
    – Ebbene sì. Parigi è piena di copie della Statua della Libertà.
    – Piena?
    – Seguitemi.




    La terrazza è vuota nel mezzo e piuttosto affollata ai bordi. Petroussiene ci porta in un angolo preciso, da cui si ha una visuale abbastanza ampia verso ovest.
    – Vedete quell'isolotto nella Senna? Poco a sinistra della Tour Eiffel?
    – Certo.
    – È l'Isola dei Cigni. Alla sua estremità, c'è una copia della Statua della Libertà in scala 1:4. Questa è arrivata in Francia dagli Stati Uniti.
    – Scambio di regali.
    – Noto che iniziate a entrare nel meccanismo. È più di un secolo che Francia e Stati Uniti si parlano attraverso Statue della Libertà, mes amis. Ma non finisce qui...
    – No?
    – Venite con me...
    Ci spostiamo due vetrate più in là, dribblando i soliti giapponesi con le vertigini.
    – Vedete quella macchia verde poco distante?
    – Jardin de Luxembourg?
    – Proprio lui. Lì ce n'è un'altra copia. E, infine, una terza è al Conservatoire des Arts et Métiers: seguite il  mio indice, poco a sinistra del Pompidou.
    – Questo lo sapevo. Lo dice anche Eco nel Pendolo di Foucault.
    – Molto bene. Vedo che fa letture interessanti... Ora, se provate ad unire questi tre punti, sapete cosa ottenete?
    – Cosa otteniamo?
    – Un triangolo! – esclama Petroussiene.
    – Noooo, – faccio io.
    – Incroyable, – commenta Paul.
    Io e Paul ci guardiamo. Poi torniamo a guardare il nostro nuovo amico.
    – Quasi isoscele! – si illumina Petroussiene.


[continua qui]

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