lunedì 16 novembre 2015

piccola pausa silenziosa




   I have known the silence of the stars and of the sea,
  And the silence of the city when it pauses,
  And the silence of a man and a maid,
  And the silence for which music alone finds the word,
  And the silence of the woods before the winds of spring begin,
  And the silence of the sick
  When their eyes roam about the room.
  And I ask: For the depths
  Of what use is language?
  A beast of the field moans a few times
  When death takes its young:
  And we are voiceless in the presence of realities--
  We cannot speak.

    A curious boy asks an old soldier
  Sitting in front of the grocery store,
  "How did you lose your leg?"
  And the old soldier is struck with silence,
  Or his mind flies away,
  Because he cannot concentrate it on Gettysburg.
  It comes back jocosely
  And he says, "A bear bit it off."
  And the boy wonders, while the old soldier
  Dumbly, feebly lives over
  The flashes of guns, the thunder of cannon,
  The shrieks of the slain,
  And himself lying on the ground,
  And the hospital surgeons, the knives,
  And the long days in bed.
  But if he could describe it all
  He would be an artist.
  But if he were an artist there would be deeper wounds
  Which he could not describe.

    There is the silence of a great hatred,
  And the silence of a great love,
  And the silence of a deep peace of mind,
  And the silence of an embittered friendship.
  There is the silence of a spiritual crisis,
  Through which your soul, exquisitely tortured,
  Comes with visions not to be uttered
  Into a realm of higher life.
  And the silence of the gods who understand each other without speech.
  There is the silence of defeat.
  There is the silence of those unjustly punished;
  And the silence of the dying whose hand
  Suddenly grips yours.
  There is the silence between father and son,
  When the father cannot explain his life,
  Even though he be misunderstood for it.

    There is the silence that comes between husband and wife.
  There is the silence of those who have failed;
  And the vast silence that covers
  Broken nations and vanquished leaders.
  There is the silence of Lincoln,
  Thinking of the poverty of his youth.
  And the silence of Napoleon
  After Waterloo.
  And the silence of Jeanne d'Arc
  Saying amid the flames, "Blessed Jesus"--
  Revealing in two words all sorrow, all hope.
  And there is the silence of age,
  Too full of wisdom for the tongue to utter it
  In words intelligible to those who have not lived
  The great range of life.

    And there is the silence of the dead.
  If we who are in life cannot speak
  Of profound experiences,
  Why do you marvel that the dead
  Do not tell you of death?
  Their silence shall be interpreted
  As we approach them.


da Edgar Lee Masters, Songs and satires, 1916

domenica 1 novembre 2015

interrail
[seconda parte]



     [Qui trovate la prima parte]

    Loro hanno fatto al contrario. Sono partite da nord: Amsterdam, Rotterdam, Utrecht, e poi a scendere Bruxelles, la Bretagna, Parigi.
    A Bruges, qualcuno le ha fregato lo zaino, mentre sedevano su una panchina. Ma sembra sia stato un mezzo pazzo che le guardie conoscono bene e hanno beccato subito senza neanche fermarlo, perché dicono non sia cattivo. Ruba le cose per gioco, le porta un po' in giro e poi le lascia per strada o le dà a un vigile.
    Storia strana. Giulia va avanti a parlare, ma io mi perdo a guardarle i denti e le orecchie. E mi sorprendo a riflettere su questa ragazza, che è partita undici giorni fa da Lecco e magari, anche se ha una voce bellissima, un ragazzo non ce l'ha, sennò dove vuoi che andava dodici giorni a zonzo per l'Europa con due amiche.
    E poi me ne vado un po' per conto mio. Con la testa, dico; il culo sempre piantato sul pavimento della Gare de Lyon. Penso alla gente che ho incrociato per strada e per caso, in questi diciannove giorni imbottiti di roba, come i panini che prendiamo il venerdì notte sulla Palmiro Togliatti. Immagino ci vorrà un po', a digerirli. Penso ai treni che ho aspettato e perso o preso. Ma da sempre, dico, mica 'st'estate. Mi chiedo se ci sia qualcosa di più bello di questo mescolare vite nelle stazioni, e poi lasciarsi per sempre o continuare a mescolarle, ma di solito lasciarsi per sempre. Mi chiedo se anche Giulia, che va avanti a sbattere la lingua contro il palato della sua bocca di ragazza ventunenne di Lecco, sia uno di quei treni che passano e si perdono o prendono. Se lo stessi aspettando. Mi immagino un futuro con lei. Io che mi laureo e mi trasferisco a Lecco a lavorare in una compagnia qualsiasi. Io che prendo l'accento di loro del Nord e voto la Lega. Noi che di domenica ce ne andiamo in barca sul lago e sembriamo Renzo e Lucia.
    Giulia sta raccontando di tre ragazzi norvegesi con cui hanno passato due giorni a Bruxelles. Le ragazze si guardano maliziose. Poi, Lia indica ridendo la Francesca.
    - E la Fra ha rimediato uno splendido braccialetto portafortuna…
    Al che, la Fra mostra, da ragazzina, il bracciale di spago colorato sul suo polso sinistro e se lo sbaciucchia. Hanno classe, ognuna a modo suo.
    - Insomma, tutto qui, - conclude Giulia.
    - Bello! I castelli della Loira, però, meritavano; almeno un giorno...
    - Amboise, te l'ho detto.
    - Sì, scusa, hai ragione...
    La verità è che basta la voce radiofonica di una ragazza appena un po' più dolce della media, per farmi girare a vuoto. Sempre. E sbandare. E perdere il filo. E dimenticare che è il caso di occupare un posto sul notturno, che intanto è arrivato da un quarto d'ora.
    - Klè, forse conviene che montiamo su… Se no, stanotte si viaggia in piedi. Voi che fate?
    - Veramente, noi abbiamo la prenotazione.
    - Ah, ma siete delle professioniste, allora…
    - Se troviamo la nostra cabina potete mettervi lì, così la occupiamo tutta.
    - Super!

    Ci alzammo tutti insieme, coi nostri rispettivi, enormi zaini.

    Opportunamente alternati: una ragazza un ragazzo una ragazza un ragazzo una ragazza. E intanto cantavamo questa è la mia casa, la casa dov'è, come ci aveva insegnato Lorenzo Jovanotti. E quasi quasi, più che camminare, saltellavamo. Io tenevo Giulia per mano ma con innocenza. Klady scherzava con Lia: s'intendevano a meraviglia dall'inizio, si vedeva. La Fra stava nel mezzo e cantava più forte di tutti. Indossava al polso un braccialetto portafortuna di quindici colori.
    Eravamo inattaccabili, Signore dell'Universo.


    

    Passeggio, scruto i binari, mangio un croissant comprato in un banchetto della stazione per tentare, proustianamente e invano, di alimentare ancora un ricordo o due. Sono passati quindici anni, sembra volermi dire la torre dell'orologio stile Big Ben, che batte il tempo da lassù e beata lei non sbaglia un colpo. E forse la cosa che è cambiata di meno è proprio la Gare de Lyon, sembra volermi dire.
    Per esempio, la Fra è un po' ingrassata. A quanto pare, è rimasta a Lecco, si è sposata e ha una bambina di tre anni che ovviamente somiglia a Nina Moric. L'ho ripescata su Facebook il mese scorso, e adesso ogni tanto ci regaliamo un Like.
    Klady è tornato in Albania che saranno dieci anni. Non so di preciso, ma deve dirigere qualcosa di importante. Ad avercelo venti giorni a fianco, rompeva un po'; eppure adesso pagherei per farci insieme un viaggio in treno o una partita a carte.
    Lia è finita a fare volontariato in Africa. L'ho vista in una foto e mi è sembrata rasta e abbronzatissima. D'altronde, si capiva già da allora che era lei la vera alternativa del gruppo.
    Io dicevo dicevo, ma alla fine non ho fatto altro che scegliere un protocollo più o meno ordinario e seguirlo in maniera più o meno incosciente. Nel frattempo, mentre il protocollo meccanicamente girava, ho continuato ad ascoltare Jovanotti, a viaggiare tutte le volte che potevo e a scribacchiarci sopra raccontini jangle pop, via via un po' meno ingenui e con qualche virgola in più
di questo.
    Infine, Giulia. Mi ricordo che abbiamo continuato ad aggiornarci per un po', ogni tanto, soprattutto via e-mail. Ci raccontavamo qualcosa, ricordavamo qualcosa, auguravamo qualcosa — col tempo, sempre più sintetici. Oppure ci squillavamo. Ci eravamo promessi di squillarci ogni volta che uno di noi due saliva su un treno o passava in una stazione; era una specie di rito post-Interrail. Però quello che prendevo ogni mattina per Roma non valeva: soltanto gli altri treni e le altre stazioni. In qualche rara occasione, dobbiamo esserci anche sentiti; solo che poi tutte le volte stavo male due giorni e allora non era il caso. È che per telefono aveva una voce proprio insostenibile, sembrava quella delle fate nei film per bambini.
    E il Natale dopo l'Interrail, ci siamo rivisti a Roma. È venuta un paio di giorni con la Fra: abbiamo mangiato l'amatriciana e io le ho spiegato i monumenti e insegnato qualche frase in romanesco. Avevamo pianificato un giro tutti insieme per l'estate successiva; ne eravamo contenti e convinti; pensavamo alla Grecia. Ma poi lo sapete come vanno 'ste cose: Klady avrebbe iniziato a lavorare, la Fra sarebbe stata invitata in Sardegna da un'amica, Lia sarebbe stata sotto spese. E io intanto avrei conosciuto una ragazza di Roma, zona Eur, che si sarebbe chiamata Marina e sarebbe stata biologa e bionda; e sarei arrivato a volerle bene bene bene, ve lo giuro.

    Perché funziona così, Signore dei Viaggiatori: la strada va avanti zigzagando verso un'idea di casa e ci si trova e ci si perde. Tutto quello che puoi è lasciare indietro dei sassi sui tuoi passi, anche solo per te stesso, un domani, hai visto mai.


[qui la versione audio]