lunedì 16 maggio 2016

101 cose che avrei potuto fare in sardegna
(se solo avessi noleggiato un'auto)

nota del 16/05/2016:    
Ho iniziato a scrivere questo pezzo "sardo" ormai nove mesi fa, come summer edition post di
questo blog altrimenti parigino. L'idea era di farlo crescere in tempo reale online, aggiornando il post ogni volta che tornavo a metterci mano: stesura per stesura, correzione per correzione. L'ho fatto in maniera piuttosto discontinua, ahimè, ma, per quanto un testo possa dirsi finito, oggi questo testo diciamolo finito. 




    Sei partito talmente presto che, quando atterri, è ancora appena poco più che l'alba. In aereo non hai dormito. Hai preferito costringerti a un caffè prima della partenza e violentarti in volo con una guida della Sardegna, di cui tuttavia sapevi e continui a sapere molto poco. Preghi, come tutte le volte che scendi da un aereo, che ad attenderti ci sia un tunnel che ti conduce direttamente in aeroporto, e non un affollatissimo pulmino che partirà soltanto quando sarà ancora più affollato, o al contrario un attimo prima che tu salga, costringendoti ad aspettarne un secondo. Stavolta le tue preghiere sono esaudite: alla fine del tunnel, c'è l'aeroporto di Olbia. Non hai bagagli da recuperare e quindi ti dirigi rapido verso l'uscita. Sei concentratissimo. Non sai esattamente cosa fare di questa giornata, ma di sicuro sei già entrato nella modalità viaggio in solitaria, e questa modalità non prevede perdite di tempo, se non ben formalizzate e opportunamente giustificate; quindi individui l'insegna dell'autobus, tra le varie insegne, e la segui deciso. Sulle banchine dove fermano gli autobus, non siete in molti. Ci sei tu, c'è una ragazza più giovane di te, c'è una madre con due bambini. Indovini la direzione del mare anche se il mare non si vede; è un fiuto che hai sviluppato d'estate, da bambino. Da una parte, c'è una fila di taxi sproporzionata alla grandezza dell'aeroporto. Da un'altra, un fiume di gente, dentro il quale riconosci almeno tre quarti dei passeggeri del tuo stesso volo, che si dirige verso una porta scorrevole. Sul cartello sopra la porta, c'è scritto: Noleggio auto / Rent a car.

    Se solo avessi noleggiato un'auto, l'escursione sulla Costa Smeralda potrebbe coprire qualche caletta in più. A leggere la guida, ti sembra di aver capito che non c'è molto da fare o vedere a Porto Cervo, a meno di avere abbastanza soldi e una nottata libera. Però – ti ha detto un simpatico tipo sardo, la sera prima, a cena – andare a Porto Cervo, ogni tanto, è importante: serve a tenere vivo e vigile il desiderio di lotta di classe.
    Tu ci arrivi in autobus che è mattina presto. Insieme a te, scendono una coppia di piemontesi (credi) e una famiglia di tedeschi (credi). In giro, non c'è quasi nessuno. Delle poche persone che vedi (uomini ben vestiti, donne poco vestite), fai fatica a dire se siano già sveglie o ancora sveglie. Sembra un piccolo centro commerciale all'aperto, con vista sul mare. Tutto suona finto e un po' texano. La cosa più vera che trovi è un minuscolo Pam aperto. La cosa più proletaria che fai è mangiare focaccia e prosciutto, appoggiato a un muretto, che probabilmente è abituato ad ospitare sederi diversi. (La sera dopo, potrai raccontarlo al tipo sardo simpatico della sera prima. Lui ti schiaccerà un cinque molto yankee e nel farlo ti dirà in sardo stretto: "non t'arruoles".)
    Quindi torni rapido verso la fermata, ad aspettare l'autobus successivo. Perché la Sardegna, sì, si può girarla in autobus, ma bisogna essere estremamente motivati, pazienti e puntuali.
La sosta successiva è a Capriccioli. Turistica e bellissima. Oppure: turistica ma bellissima. Oppure: turistica perché bellissima. Il mare ha davvero gli stessi colori che nelle foto della guida. La spiaggia è affollata ma se lo merita.
    Infine, sulla via del ritorno, Baia Sardinia. Dove passeggi a lungo sugli scogli per testare il ginocchio, cui vorresti chiedere il permesso per un po' di hiking nei giorni a venire. E dove ti concedi un gelato in coppetta, gusti fragola e melone.

    A cena, siedi di fronte a uno della giuria che ti fa i complimenti e ti dice che usi bene prolessi e analessi e che hai trovato proprio una bella metafora. Lo ringrazi. Gli dici quanto ti fa effetto che ti parli così: quanto ti fa sentire uno scrittore. Lui dice che dice davvero. Tu lo ringrazi di nuovo e sorridi. E – tralasciando il fatto che non sei così sicuro di sapere cosa sia un'analessi – dentro di te muori, sinceramente, dalla voglia di chiedergli quale sia la metafora. Perché se davvero c'è una metafora dentro, sarebbe bello capire come c'è finita. Perché se davvero c'è una metafora dentro, non ce l'hai messa tu. Hai sempre odiato le metafore e hai sempre odiato le allegorie (del resto, mai capita la differenza). Ti è sempre sembrata roba da tema del liceo.
    – Quanto ti fermi?
    – A Tempio, solo domani. Però resto una settimana in Sardegna.
    – Ah, e dove vai?
    – Non so di preciso... Tra una settimana devo essere a Cagliari, perché ho un biglietto per un concerto della Mannoia, e comunque riparto da lì. Penso di scendere lentamente e girare un po'.
    – Sei in macchina?
    – No. Andrò in autobus.
    – Buona fortuna.

    Se solo avessi noleggiato un'auto, a Bosa arriveresti di mattina e non nel primo pomeriggio.
Invece è successo che sei partito all'alba in tutta fretta senza fare colazione, hai fatto una sosta a Sassari, hai preso il primo e unico treno del tuo viaggio, hai passeggiato un po' per il centro di Alghero con lo zainone in spalla, hai mangiato un qualche tipo di pane carasau e finalmente sei rimontato in autobus e adesso arrivi a Bosa.
    Entri in un bar, proprio nel parcheggio in cui ti ha lasciato l'autobus, e ti fai servire un'Ichnusa gelata, che mandi giù rapidamente mentre il televisore passa le immagini di un Inter-Milan estivo, giocato in qualche posto dell'estremo Oriente. Non te ne frega nulla della partita, e non avevi troppa voglia della birra. Ma hai un piano. Scambi due battute col barista, vai in bagno, torni al tuo posto e aspetti la fine del primo tempo. Nel pagare, chiedi qualche informazione sulla strada per il castello e
– eccolo, il piano – se per caso puoi lasciare lo zaino nel bar e recuperarlo qualche ora più tardi.
    La giornata è splendida. Bosa ha le case colorate come Portofino e, a rifletterne i colori sull'acqua, un fiume anziché il mare. La strada per il castello è ovviamente in salita. Ti fermi un attimo a rifiatare. Su un cassonetto dei rifiuti, noti un adesivo che recita "non t'arruoles", sopra l'immancabile immagine dei quattro mori. Sorridi e fotografi.





    I viaggi hanno un paio di cose in comune coi capodanni. La prima è che sembra ci si debba divertire per forza (ma di questa fissazione, sei riuscito a liberarti subito dopo i diciott'anni). La seconda è che ti viene da far bilanci. Per esempio, mentre calpesti la sabbia di Cala Sisine, se non ricordi male, o comunque mentre calpesti qualche altra sabbia, pensi che arrivato a trentacinque anni uno ha proprio il dovere, di montarsi la testa. Se no, non vedi quando.
    – E come pensi di scriverlo?
    – Vorrei scriverlo usando il tu. Come se mi parlassi, come se mi guardassi da fuori.
    – Ambizioso.
    – Vorrei avesse la velocità del primo Brizzi, la follia dell'ultimo Nori e la saggezza di tutti i Tabucchi.
    – Buona fortuna.

    Se solo avessi noleggiato un'auto, non avresti bisogno di passare una notte a Nuoro. Invece, una rapida occhiata a orari e mappe ti ha fatto capire che Nuoro non avrà nulla di turisticamente rilevante, ma è in una posizione assolutamente strategica nella geografia dell'ARST.
    Ci arrivi che è sera. Ne approfitti per fermarti in un ristorante consigliato da TripAdvisor e regalarti la prima cena vera da quando sei partito. Il posto si chiama il Rifugio e, con una minuscola prolessi, posso anticiparti che mangerai benissimo. Non ci sono molti turisti (da turista che non vuole ammettere di esserlo, la cosa ti fa piacere), la sala ha i colori e gli odori giusti e il cameriere è gentile e ti spiega con cura piatti, tempi e tradizioni. Non è di quelli che tentano vistosamente di pilotare le scelte del cliente. Non è di quelli che ti nominano dieci opzioni ma, di fatto, hanno già deciso loro cosa mangerai – come in certi quiz televisivi finti, in cui il presentatore fa l'occhiolino sulla risposta giusta oppure la enfatizza pateticamente con la voce. Tu, alla fine, opterai per un per niente estivo piatto di pecora bollita, accompagnato a un per niente rinfrescante Vermentino DOC.
    Nel tavolo di fronte al tuo, c'è un gruppo di ragazze isolane. Capisci che sono isolane, definitivamente, dall'accento; ma lo intuisci, prima ancora che parlino, da un loro modo un po' selvatico e selvaggio di sedere e guardare le cose. È un atteggiamento che avevi notato, simile, nelle donne portoghesi, quando eri in Portogallo e guardavi donne portoghesi. Però – ti viene da concludere – le donne portoghesi sono leggermente più selvagge e leggermente meno belle. E invece – ti viene da osservare, a margine, osservandole –, le donne sarde hanno una componente di mistero, sì, ma che però non fa paura; e un modo sfrontato di esibirla e parlarti; e poi sono le vere professioniste degli occhiali con montatura nera (se siete curiosi e vi piacciono le donne e vi piace il genere, la Sardegna è il posto per voi).

    Capisci di stare invecchiando da piccoli gesti o desideri, che prima non compievi o non conoscevi. Non dai problemi al ginocchio, non dai capelli bianchi, non dall'affanno quando fai le scale, non dal pensiero inaspettato di metter su famiglia. No. Capisci di stare invecchiando, ad esempio, quando alla domanda del gelataio ti sorprendi a rispondere coppetta anziché cono.
    Un attimo dopo, c'è lui che ti guarda stupito; non perché hai risposto coppetta anziché cono, ma per l'espressione smarrita e quasi impaurita che assumi un attimo dopo averlo risposto. Fragola e melone, aggiungi allora, con un sorriso largo e lungo, cui affidi il compito di tranquillizzare entrambi.

    Se solo avessi noleggiato un'auto, Orgosolo potresti incontrarla lungo la strada, mentre punti verso Cagliari. Invece ti ritrovi, in un'ennesima alba, a comprare l'ennesimo biglietto ARST dentro un tabaccaio di Nuoro. Ed è lì che ti lasci stuzzicare dall'idea di un pacchetto di Camel Blu da dieci. Ti sembra un modo interessante e vagamente trasgressivo di utilizzare gli ultimi due giorni e mezzo a disposizione e i tre euro e rotti che il tabaccaio ti sta rendendo di resto.
    Quando arrivi a Orgosolo, Orgosolo si sta risvegliando e, si potrebbe dire, fate colazione insieme (immagine vagamente lirica, suggerita dalla nicotina) in un bar fatto a L su una stradina in salita, che ti ricorda un po' Trastevere e un po' Bairro Alto.
    Orgosolo – mai capito su quale O vada l'accento – è un paesotto di quattromilacinquecento abitanti. Una volta c'erano i banditi; ora ci sono i murales. Hanno iniziato a farne alla fine degli anni Sessanta e ci hanno riempito via via tutte le strade del centro. Sono murales di protesta: c'è un De Andrè adolescente, un Bertolt Brecht vecchio saggio, un Che Guevara un po' timido vicino a un Gramsci in bianco e nero. E poi donne sarde e contadini sardi. Persino un Corto Maltese sbarcato in Sardegna, una Guernica tra due finestre, un Garibaldi in via Garibaldi. Passeggi per le stradine e scatti decine di foto, mentalmente e con lo smartphone, con cui addobberai nei mesi a venire le bacheche, rispettivamente, della tua coscienza e del tuo Facebook (altra immagine vagamente lirica).
    Mentre aspetti l'autobus che ti riporterà indietro, accendi una sigaretta. Ovviamente, al terzo tiro ti gira già la testa. E, mentre inspiri ed espiri solennemente, rifletti che si dovrebbe incominciare a fumare a quindici anni nei cessi del liceo, e non a trentacinque appoggiato a una pensilina dell'ARST.
    Ma no, che c'entra, ti dici per tranquillizzarti. Non stai mica incominciando a fumare, ti dici. Fa solo parte del viaggio. Come rientri a Parigi, smetti, ti dici. Ci sono libri che aiutano a farlo. Li hai visti in decine di librerie, impilati ordinatamente di fianco alle casse. Sorridi. Spegni il mozzicone pigiandolo con la scarpa, con un gesto che ti riesce stranamente naturale. Poi tiri fuori una penna e annoti sulla Moleskine un paio di immagini vagamente liriche.





    Se solo avessi noleggiato un'auto, non avresti bisogno di utilizzare Blablacar per spostarti in tempi ragionevoli da Nuoro a Cagliari. Il tuo compagno di viaggio, nonché guidatore di vecchia Fiat Croma, si chiama Giuseppe ed è sardo.
    Ti sembra una brava persona. Dopo venti minuti, si ferma in un bar per mangiare un tramezzino, e bere e offrirti un caffè. Arricchite le presentazioni iniziali con qualche particolare in più. Appena tornati fuori nel parcheggio, accende una sigaretta.
    - Adesso andiamo, eh... Ne vuoi una?
    - Grazie, non fumo, - rispondi automaticamente.
    - Stavi fumando quando sono arrivato...
    - Ah, sì, no... cioè, normalmente non fumo, - rispondi vagamente in confusione.
    - Fai bene.
    - Sì, - rispondi automaticamente.
    - Non iniziare mai.
    - Sì... cioè, no. È stata proprio un'eccezione, - rispondi vagamente in confusione.
    Lungo il viaggio, attraversate paesaggi spogli, in cui c'è sole e terra dappertutto e pochissimi spazi coltivati. Intanto gli parli di Parigi, e di quello che fai a Parigi, e di quello che ci fai lungo la strada tra Nuoro e Cagliari. Lui ti spiega perché fa quella strada un giorno sì e due no, che è stato a Parigi un weekend di maggio con una ragazza, e che se Dio vuole la sposerà tra un anno.
    Ascoltate musica in silenzio per una mezzora. Poi lo stuzzichi sulla Sardegna e sull'indipendenza. Lui parte. Hai beccato uno che è nel consiglio comunale del paese d'origine. È un cinquestelle pentito. È soprattutto anti-renziano e dice che è una vergogna il mare di cazzate che scrivono su Repubblica e sull'Unione Sarda. Sarebbe pure per l'indipendenza, ma dei vari movimentini per l'indipendenza non ce n'è uno che gli sembri serio.
    Ti lascia praticamente a dieci metri dall'ostello. Si offre di offrirti un ultimo caffè, che però rifiuti ringraziando di cuore. Ti sembra una brava persona. Trascuri il fatto che abbia guidato per tre quarti d'ora buoni tenendo una mano sul volante e l'altra sul cellulare, e gli lasci cinque stellette riconoscenti sul sito di Blablacar.

    E finalmente sei a Cagliari, dove se solo avessi noleggiato un'auto potresti passare a prendere un caro amico che hai conosciuto un paio d'anni prima a una conferenza. Vi trovate comunque facilmente, in un bar in pieno centro storico, per una birra post-pranzo. Non siete cambiati. Tu hai ancora lo sguardo da studente che non si applica ma sembra lo faccia, lui somiglia ancora a Ivano Fossati. Vi raccontate quello che c'è da raccontarsi, lui ti presenta degli amici, loro raccontano aneddoti sardi o divertenti, tu accetti volentieri di concludere la giornata in spiaggia.
    Sono dei momenti piuttosto riusciti e intensi, in cui ti viene da riflettere su vantaggi, svantaggi e tipicità del viaggiare in solitaria piuttosto che in gruppo o in coppia. Dei quali adesso potresti anche scrivere più a lungo, se non avessi una paura fottuta di scadere in psico-filosofia facile da tema del liceo.
    Bevete ancora qualche Ichnusa, fate ancora qualche foto inevitabile, con Cagliari da una parte e il tramonto dall'altra, e ti fai dare informazioni su come raggiungere Chia la mattina dopo, per quella che sarà l'ultima sessione di hiking del tuo viaggio. Per gli appassionati all'argomento, nel gruppo, per la maggior parte sono contro l'indipendenza (ma va anche detto che per la maggior parte non sono di origine sarda).
    Concludete la giornata in acqua, che è ormai l'imbrunire, cantando a squarciagola La canzone popolare.

    La ragazza della reception esce dall'ostello, ti vede, sorride, ti raggiunge, chiede posso? e ti siede vicino. Può farlo, senza che questo significhi o comporti nulla, perché avete parlato relativamente a lungo, e raggiunto una qualche confidenza, durante il check-in della mattina: quando tu hai avuto problemi con la carta francese e hai rischiato seriamente di mandarla in blocco, prima di ricordare che ha quattro cifre di pin anziché cinque; e quando lei è impazzita nella procedura inusuale di registrare un utente che ha la residenza da una parte e il domicilio dall'altra (alla fine, le hai detto: senti, facciamo che abito ancora coi miei, che tanto non creiamo problemi a nessuno, e mi sa che loro sarebbero pure contenti). La ragazza della reception ti guarda fumare e ti chiede se può farti compagnia. Tu le passi una sigaretta, che è un gesto che non avevi mai fatto nella vita, eppure immaginato tante volte. Lei ti dice che non ti ha chiesto una sigaretta, ma solo se può farti compagnia. Ci rimani un po' male, perché ti sembra abbia rovinato qualcosa della bellezza e complicità del momento, ma devi ammettere che tecnicamente ha ragione lei. Mentre sfila dal pacchetto, e accende, una sigaretta delle sue, ti chiede di Parigi: com'è, cosa fai, quando ci sei finito. Tu rispondi con cura. Hai imparato a farlo in maniera quasi fluente in francese; adesso rispondere in italiano è una passeggiata, e ti permetti di piazzare qua e là anche note a margine e battute spiritose. Poi le chiedi di lei, dei suoi studi, del presente in ostello e del futuro sul continente, e, tanto per completare le statistiche, della sua opinione sull'indipendenza della Sardegna. È tutto molto naturale e rapido (come succede nei film, in certa letteratura, nei viaggi in solitaria).
    – Ma non ti annoi? – chiede lei.
    – Ma no, – dici tu.
    – E che fai tutto il giorno?
    – Penso. Mi guardo da fuori.
    – E parli da solo?
    – Qualche volta.
    – E cammini...
    – Cammino cammino cammino... E un po' scrivo. Che alla fine è come parlare da soli.
    – Scrivi.
    – Sì. Da qualche tempo, tengo pure una specie di blog. Che è come parlare da soli a voce alta.
    Devi ammetterlo: quando viaggi in solitaria, se appena appena una ragazza ti rivolge la parola o anche solo ti risponde, tu utilizzi un registro un po' esistenzialista e un po' piacionico (che poi tendi invece a sotterrare nella tua vita quotidiana), e in definitiva fai il figo.
    C'è un brevissimo silenzio e poi: – Secondo me tu scrivi troppo e scopi poco.
    Questo lo dice lei, con tempi teatrali perfetti, e imprevedibilità e sfrontatezza di ragazza isolana nata a inizio anni Novanta (le tue coetanee, isolane o no, anche le più scafate, una frase del genere non te l'hanno mai detta). Tu, nel tuo piccolo, erano anni che sognavi che una ragazza ti dicesse una cosa così. Si potrebbe quasi teorizzare che ti ostini a viaggiare in solitaria, e, mentre viaggi in solitaria, a dire le cose piacioniche ed esistenzialiste che dici, perché sogni che un giorno una ragazza ti dica una frase del genere. Quindi hai pronta una risposta da film, o da certa letteratura, che non lascia assolutamente scampo. Fai una pausa di qualche secondo (che non ti serve affatto a pensare cosa rispondere, perché hai già tutto perfettamente chiaro da anni; la fai semplicemente perché anche quella pausa è una pausa da film che hai preparato con cura) e poi, effettivamente, rispondi, persino più piacionico di prima: – Solo una delle due cose è vera. Ma non ti dico quale.
    A questo punto, nel tuo film, quello che si proietta da anni, periodicamente e puntualmente, nella tua testa di ragazzo non isolano degli anni Ottanta, la ragazza sorride, fa una pausa, e risponde: – Se vuoi, posso aiutarti con una delle due. Ma non ti dico quale...
    E poi la camera stacca significativamente su un interno notte.
    Invece, la ragazza della reception sorride e basta.





    E insomma – sarà l'euforia facile da viaggio in solitaria, sarà la nicotina che rimbalza festosa nei tuoi polmoni vergini, sarà che veramente stai invecchiando e stai invecchiando bene – succede che ti ritrovi nei pensieri, e un secondo dopo sulla moleskine, una metafora facile facile (o un'allegoria, mai capita la differenza): e cioè che tu un'auto non l'hai noleggiata mai, ma proprio nella vita, perché ti è sempre piaciuto camminare a piedi e scansare o calpestare le cacche ad una ad una, e al limite fare i conti con gli orari degli autobus, e sicuramente ogni tanto perderne anche qualcuno. E il giorno in cui finirà tutto, se un giorno finirà tutto, guardandoti intorno e dentro, concluderai che sì, qualche caletta l'avrai pure mancata, però hai la coscienza a posto e due polpacci così; e se c'è un autobus che passa a minuti, bene, ma sennò tu all'altro mondo ci vai pure tranquillamente a piedi.

    Di fianco a te, c'è una ragazza che indossa degli occhiali con montatura nera e canta con forte accento sardo tutte le canzoni della Mannoia, pausa per pausa, parola per parola. Carina. Labbra sottili. Mora. Avrà almeno dieci anni meno di te (ma ormai chi è che non ha almeno dieci anni meno di te?). Nonostante la sua azione di disturbo – sarà la malinconia facile da fine viaggio, sarà la nicotina che rimbalza festosa nei tuoi polmoni vergini, sarà che veramente stai invecchiando e stai invecchiando male –, succede che il repertorio nazional-popolare della Mannoia finisce con l'emozionarti e, addirittura, confessalo, su Amore bello di Baglioni, ti scendono dagli occhi due lacrime inaspettate e dichiaratamente kitsch.

    – Scusi, da che parte è il mare?
    – Da tutte le parti. Siamo su un'isola.


    È una mattina di otto o nove mesi dopo, quella in cui ti sembra che il pezzo sia pronto. Imperfetto e frammentario, ma di una frammentarietà che è propria di ogni viaggio in autobus e di un'imperfezione che è figlia non voluta degli otto-nove mesi trascorsi a fare altro e a mettere sopra al viaggio altri racconti e altri viaggi.
    Lo rileggi e ti piace, nella maniera poco indicativa in cui finisce col piacerti più o meno ogni cosa che rileggi appena dopo averla finita.
    Ti piace una certa malinconia non dichiarata.
    Ti piacciono la rapidità e il senso di non compiuto.
    Ti piace la scena con la ragazza della reception.
    Ti sembra di aver trovato finalmente la distanza giusta tra te e le cose che racconti. Se potessi tornare indietro di qualche mese, riscriveresti tutto il blog in seconda persona.
    Invii il testo al presidente della giuria – che hai continuato a sentire ogni tanto, anche solo per via del fatto che vivi a Parigi e di Parigi si è parlato abbastanza negli ultimi otto-nove mesi –, presentandolo in modo scherzoso come un piccolo tributo a una terra che ti ha stregato.
    Il presidente del concorso ti risponde dopo appena un quarto d'ora. È una breve ma pulita email, in cui dice che il pezzo è carino e odora veramente di Sardegna, anche se c'è qualche passaggio un po' da tema del liceo.

    Se solo avessi noleggiato un'auto, alle 7,45 del mattino staresti ancora dormendo o facendo la doccia. Invece, ti ritrovi sveglissimo e seduto nell'unico bar della piazza principale di Arzachena: un posto il cui vero merito è trovarsi a metà strada tra vari posti interessanti. È la mattina del secondo giorno, ma questo racconto ti piace chiuderlo così, giocandoti una piccola analessi.
    La Gazzetta dello Sport presenta un derby estivo tra Milan e Inter che si gioca in non ricordi più quale paese asiatico. L'Unione Sarda parla dell'imminente arrivo di un monopolio a controllare i traghetti da e per la penisola. La Repubblica apre come al solito con Renzi. Tu fai finta di leggere, ma in realtà ascolti e cerchi di decifrare le chiacchiere in gallurese di tre anziani seduti al tavolo di fianco al tuo.
    – Ma che sarebbero 'ste notti bianche? – sta chiedendo uno.
    – Ogni anno se ne inventano una, – sta commentando scettico il secondo.
    – Roba che portano dal Continente, – sta ridendo il terzo, e nel dirlo ti sta indicando e ammiccando. Tu lo assecondi. Per un attimo, hai la tentazione di rispondere "non t'arruoles" e fare il pugno con la mano sinistra, ma la trattieni e sorridi e basta. Non ti eri mai sentito così Yankee.
    – Ma magari piovesse, stanotte... Che l'orto c'ha proprio bisogno, – conclude inesorabilmente il primo.


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nota del 03/08/2015:    Qualche notte fa, seduto sulla scalinata di Piazza San Sepolcro, a Cagliari, fumavo una sigaretta (!) e ragionavo sul viaggiare e sullo scrivere. Erano riflessioni leggere e molto kitsch, perché era tardissimo e perché avevo in corpo la classica malinconia da fine viaggio; se cercavo differenze, trovavo analogie.

    Intorno a me, c'erano ragazzi che scherzavano, ragazzi che bevevano birra, due cani che giocavano con una bottiglia di plastica.


    È stato lì che ho pensato che scrivere qualcosa sul viaggio in Sardegna, magari per il blog, sarebbe stato un modo onesto di ripercorrerlo e, diciamo così, salvarlo con nome. Ed è stato lì che ho pensato che, almeno stavolta, soprattutto stavolta, sarebbe stato bello e un po' on-the-road condividere anche il processo di costruzione del testo.


    Per farla breve, questo post prenderà forma direttamente qui, curva dopo curva incrocio dopo incrocio, e lo aggiornerò usando il grassetto ogni volta che andrò ad aggiungere o modificare qualcosa. Un giorno, ma mi sembra più bello non fissare quando (che è un po' come partire senza avere in tasca il biglietto di ritorno), sarà evidente che è arrivato il momento di chiuderlo e congelarlo. Salutare, tornare a casa, metter su una megalavatrice.

    Se ne avete voglia, venite pure a sbirciare, ogni tanto, così facciamo un pezzo di strada insieme...

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