sabato 16 maggio 2015

western nel quartiere latino




    – J'aime bien les Westerns, j'aime bien...
    – En italien, s'il te plaît.

    Da qualche mese, ho iniziato un tandem linguistico italiano-francese.
    – Bello! E con chi?
    – Non ridere.
    – Non rido.
    – Co 'na russa.
    Libbe ride.
    Ma mica ha tutti i torti.
    – Però dice che sta qui da quand'era bambina. Cioè, è tipo madrelingua.
    – Seee, vabbè...
    Nel sorriso di Libbe riconosco una punta di complicità, una punta di saggezza e una punta di malizia. Ma messe dentro con naturalezza e garbo, come sanno fare solo le donne e gli attori.
    – È carina?
    – Non ridere.
    – Non rido.
    – Io mi sa che mi so' mezzo innamorato.

    Mi piacciono i western, i cappelli a falda larga, le Colt 45, la sabbia contro gli speroni, l'odore del whiskey, le prostitute ballerine. Lui che entra nel bistrot e tutti che improvvisamente tacciono. Lui che muove otto passi lentissimi, mentre l'unico altro suono è quello delle porte d'entrata che continuano a cigolargli dietro. Lui che poggia il cappello sul bancone e ordina.
    – Un whiskey.
    – Subito, Monsieur Lebois.
    Lui che lo manda giù con un unico sorso e poi batte il bicchiere sul bancone e si gira.
    – Che fine ha fatto lo sceriffo Roux?
    Nel locale, nessuno che batta un ciglio.
    C'è una pausa meravigliosa di dieci secondi, in cui Lebois ha la faccia da figo, gli uomini ai tavoli sono terrorizzati tranne uno che invece è strafottente, e la bottiglia di whiskey continua a tremare tra le mani dell'oste, pallidissimo e muto.
    Un po' come quando ti chiedo cosa farai domani sera, cara Val, e passano i soliti dieci secondi in cui io sorrido perché so già la risposta, e tu ti guardi intorno confusa prima di rispondere che hai un aperitivo col gruppo di danza. I film western non durerebbero più di mezz'ora, se non fosse per queste pause meravigliose.
    Quindi Lebois dice:– Vi do un'altra possibilità. Esco a fumare un sigaro. Poi rientro, ordino un whiskey, lo bevo, mi giro e vi chiedo che fine ha fatto lo sceriffo Roux. Se non vi sarà tornata la memoria, il povero Pierre sarà costretto a rinnovare l'arredamento del locale.
    Mentre lo dice, ovviamente, non guarda nulla all'infuori del sigaro che sta accendendo.




    Le frasi sui regali

    Mi piacciono le frasi sui regali, però non scrivere ti voglio bene in francese. E lascia stare cuori ghirigori e farfalline, se poi non hai il coraggio di firmare.
    Come quando fuori c'era vento e lo sceriffo Roux pose la sua bella firma arzigogolata in fondo al foglio e ghignò.
    Mi hai mandato gli auguri per il compleanno, io neanche ci pensavo. Magari stavi ascoltando un audiolibro in italiano, mentre la tua coinquilina era di là che parlava al telefono con un ragazzo che non conosci. Una volta ci sono stato, in quella casa, però faceva un caldo che sembrava finto e texano, tu portavi i capelli legati e c'era sempre la tua coinquilina tra i piedi.
    – Che cos'è? – chiese il giovane Lebois.
    – Un ordine di cattura. Siete in arresto per la rapina al Panthéon.
    – Sapete benissimo che non sono stato io.
    – Avrete dieci anni di tempo per rifletterci su.
    – Ho compiuto ventun anni appena ieri; non potete farmi questo.
    – Consideratelo il mio regalo di compleanno.
    Lo sceriffo Roux, di anni, ne aveva trentacinque e io me lo immagino un po' come Marcel, quello sbirro idiota che ti fa il filo e ce l'ha con me. Roux aveva una stella sul petto appuntata male e una passione ridicola per la piccola Nora, diciassette anni più giovane di lui e troppe volte più bella. Nora e Lebois erano cresciuti insieme, si poteva dire. Una volta, poco più che bambini, Lebois l'aveva portata tra i battelli in riva alla Senna e le aveva promesso:– Quando avrò ventun anni, vi sposerò.

    Mi piacciono i libri quando sanno come dire, e le donne quando sanno cosa fare.
    E adoro le donne dei western perché sembrano distanti e mute ma poi, quando la mossa sta a loro, sono capaci di tirar fuori gesti imprevedibili e speciali, come salire su una diligenza sgangherata e attraversarci il Far West sotto il tiro incrociato degli indiani. Non come te, che sei sì distante e muta, ma mi cerchi solo ogni prima domenica del mese, quando ci sono i musei gratis e non sai con chi andarci. E se ogni tanto mi ascolti, è solo perché parlo in italiano. E se ogni tanto fai domande a caso, è perché hai imparato che tanto, qualunque cosa mi chiedi, io poi finisco per raccontare storie.
    Nora arrivò di corsa, affannata, un minuto prima che Lebois fosse portato via.
    – Mi aspetterete?
    – Qualunque cosa accadrà.
    – E cosa farete nel frattempo?
    – Andrò a letto presto. Fuggirò via di qui. Forse diventerò una ballerina. E voi?
    Io non lo so. È una vita che me lo chiedo. Comunque grazie degli auguri.


    Le strade parallele

    Mi piace ogni città che non conosco.
    A Kansas City, immagino che le strade si somiglino tutte. Il sole a picco sugli edifici bassi e, se è giorno e c'è vento, nessuno da incontrare. Invece, nel quartiere latino, è un continuo viavai di studenti finto-rivoluzionari e borghesi finto-intellettuali. L'ex sceriffo Roux sedeva su uno sgabello con le gambe a penzoloni nel vuoto. Quando Lebois entrò nel locale, quasi cadde giù.
    – Voi?
    – Dov'è Nora?
    – Non so di chi stiate parlando.
    Mi piace Siena.
    Mi piacciono Roma, Vienna, Dublino.
    – Che ne diresti di un weekend in Irlanda? – ti ho chiesto l'altro giorno. – Andiamo ad assaggiare un vero Irish whiskey...
    – Odio il whiskey, – avresti risposto, senza neppure guardarmi, se solo fosse stato un western.
    Lebois aveva uno sguardo gelido.
    – Vi sfido a duello. Scegliete voi luogo e giorno.
    L'ex sceriffo Roux si ricompose e alzò gli occhi verso il bancone.
    – Un whiskey, – rispose solamente.




    Mi piacciono le strade parallele.
    Tu vai avanti per la tua, io per la mia, ed è evidente che non sono la stessa strada.
    Come è evidente che Lebois e Nora avrebbero potuto proseguire senza rincontrarsi mai, o al limite all'infinito, come ci insegnano a scuola. Invece si incrociarono quella sera stessa in un locale sulla Mouffetard, perché la vita è imperfetta.
    Come è evidente che siamo entrambi mezzo innamorati. Io di te, tu di lui.
    I pub sulla Mouffetard hanno il fascino di quelli inglesi, ma senza averne l'atmosfera di chiuso. Le luci sono sempre giuste, la musica quasi sempre, i nomi dei locali bellissimi. Fosse un western, al piano inferiore ci sarebbero ballerine e al piano superiore ci sarebbero prostitute; a fare attenzione, ci si accorgerebbe che sono in realtà le stesse donne seminude che salgono e scendono le scale.
    Lebois era andato a cercare qualcuna con cui passare quella che avrebbe potuto essere la sua ultima notte; Nora, in quel locale, ci lavorava.
    Piantò a metà il suo numero e lo raggiunse. Era tutta avvolta di collane e bracciali rossi.
    – Non si direbbe mi steste aspettando, – disse, solamente, lui.
    – Mi dispiace, ma la vita è imperfetta, – avrebbe risposto, semplicemente, lei, se anziché dentro un western fosse stata dentro un classico della Nouvelle Vague.
    Invece fu lui ad aggiungere:– Domani, a mezzogiorno, sulla terrazza dell'Institut du Monde Arabe, sfiderò a duello l'ex sceriffo Roux.
    Quindi batté il bicchiere sul bancone, si avvicinò ad un'altra prostituta ballerina – che immagino tale e quale la tua coinquilina – e salì con lei al piano di sopra.

    Mi piaci tu.
    Ma questa è un'altra storia, che non ha nulla a che vedere con la sabbia negli speroni di Roux né col cappello a falda larga di Lebois.
    Per me, i duelli western sono un po' come il baseball e il rugby: mi affascinano, ma non ne ho mai capito le regole. E quello che mi fa impazzire è che non serve un arbitro. È tutto un fatto di rispetto di codici, e in qualche senso lealtà, e ovviamente destrezza.
    Ottanta passi separano Lebois dall'ex sceriffo Roux. Entrambi hanno una Colt 45 nel fodero legato alla cintura. Entrambi hanno le mani a mezz'aria, con le dita a turbinare come per sgranchirsi e una concentrazione animale nello sguardo.
    Roux ha quarantacinque anni portati male e Lebois trentuno, di cui gli ultimi dieci non usati.
    Dalla terrazza dell'Institut du Monde Arabe, c'è un panorama che le guide turistiche non hanno ancora scoperto. Dopo che hai visto Parigi da lassù, devi essere proprio dentro un western per avere ancora voglia di sparare a qualcuno.
    Ovviamente è mezzogiorno (nei western è mezzogiorno molto più spesso che nella vita normale), e fa caldo e c'è vento (come sempre c'è vento nei western).
    Quella volta che incrociai Marcel, invece, era una serata gelida. Avrei voluto dargli due sberle o lanciargli una sfida, ma nella vita vera come fai? Mi avvicinai guardandolo negli occhi, gli dissi un salut di circostanza, e gli chiesi se aveva da accendere.




    Le frasi sottintese

    Mi piacciono le frasi sottintese.
    Come quando Nora gli corse incontro e lo abbracciò senza chiedere:– L'hai ucciso?
    E Lebois rimase dritto immobile carezzandole i capelli senza rispondere:– Ha avuto quello che si meritava.
    Tirò fuori un sigaro e, mentre lo accendeva, domandò:– Mademoiselle, volete sposarmi?
    Era un mondo pazzesco, in cui ci si amava e ci si uccideva, dandosi comunque del voi.
    – Mademoiselle, volete sposarmi?
    Lo chiese, ovviamente, guardando nient'altro che il sigaro.
    Lei riunì i capelli in un nastro, dietro la nuca. Le stavano proprio bene.
    Poi fece la solita pausa western di dieci secondi, in cui solo bisbigliò qualcosa che si portò via la Senna.
    Poi raccolse una cosa da terra e se la mise in tasca.
    Poi alzò la testa e disse:– Sì.
    Anche questo, dovremmo imparare, dai western: a usare soltanto le poche parole che davvero servono, le poche volte in cui davvero servono.
    Il ragazzino indiano si avvicina con le sue rose rosse, garbato, senza dire nulla. Io abbasso appena gli occhi in un gesto che lui ha imparato significare che non è il caso. Quindi si volta, si avvicina al tavolo di fianco al nostro e ripete il suo rituale muto.
    Scusami se continuo a sbagliare le domande.
    E scusa se ne faccio troppe tutte insieme.
    E scusa se non aspetto che tu finisca le risposte.
    Però mai una volta che alzassi la testa e dicessi sì.




    Mi piacciono i locali con ambientazione arabeggiante: danno un'aria più intellettuale anche ai piatti che mangi, alle droghe che fumi, alle cose che bevi. Sediamo a un tavolo d'angolo di questa fiabesca caffetteria della moschea, da circa due ore e mezza, in cui io non ho fatto altro che bere tè neri e parlare, e tu non hai fatto altro che bere tè verdi e ascoltare. Qui non c'è bisogno di ordinare né andare al bancone. È sufficiente attirare l'attenzione di uno dei tanti camerieri che girano per le sale, con in mano vassoi pieni di bicchieri di tè, che non hanno ancora un destinatario preciso. È un luogo pieno di magia, ma purtroppo se ne sono accorte anche le guide turistiche.
    Ti fai chiamare Val, abbreviazione di un nome russo che non ho mai imparato ma sicuramente contiene varie y. Mi guardi e sorridi. Hai i capelli biondi legati con un nastro. Gli occhi chiari. E sei alta, ma di un'altezza sovietica che non mi mette soggezione.
    – Ancora una, Gringo.
    – Ti ho già raccontato tutte le storie che conosco.
    – Non ne conosci molte.
    – Sono troppo giovane per conoscerne di più.
    – Inventa...
    – Sono troppo vecchio per inventarne di nuove.
    Svuoti mezza bustina di zucchero di canna e giri il cucchiaino nella tazza, molto più a lungo di quanto servirebbe. Io ti osservo e osservo le tue unghie smaltate dello stesso rosso porpora degli orecchini, del ciondolo e delle labbra. Sei bellissima e antipatica. Un giorno sarai una ballerina, penso, oppure una prostituta.
    – Allora fammi un elenco delle cose che ti piacciono, – proponi nel tuo italiano stentato.



[qui la versione audio]

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