Paul vuole andare a prendere la Bastiglia.
Perché, dice Paul, a chi comanda non gliene frega un cazzo che occupiamo le strade e riempiamo le piazze: a chi comanda, basta che non gli entri a casa loro e non gli tocchi i luoghi strategici.
Casa loro, Paul non lo sa dove sta. E poi magari a casa loro ci stanno le mogli che non c’entrano niente e i bambini che si prendono paura. Per questo, Paul invece vuole prendere i luoghi strategici. La Bastiglia ha un ruolo molto importante, dice. La Bastiglia è un luogo strategico.
Io ovviamente ci ho provato, a spiegargli che la Bastiglia non esiste più, che l’hanno presa almeno due secoli fa e hanno buttato giù tutto, ma proprio tutto, che era già quasi vuota pure prima ma adesso non c’è rimasto niente per davvero, manco due sampietrini.
Però Paul non ci casca. Tira fuori la mappa di Parigi e mi mostra Place de la Bastille. Se c’è la piazza, ci deve essere pure la Bastiglia, dice.
Place de la Republique, invece, è piena zeppa di ragazzi. Alcuni suonano, seduti in un angolo. Altri comprano le birre che vengono fuori fresche e bagnate dai secchi di qualche venditore ambulante.
Sotto la statua della Marianne, ci stanno due che si passano un microfono e parlano fitto fitto, con un andamento a metà tra il comizio e il rap: di ore di straordinario che aumenteranno esponenzialmente, di gente che cambierà lavoro ogni sei mesi, di una legge che dovrebbe favorire chi il lavoro non ce l'ha ma invece se vai a vedere penalizza tutti. Qualcuno alza una mano per dire che bisogna essere precisi, che se no facciamo come loro, e nel testo non c'è nulla che parli di più straordinari. Nel testo c'è scritto che le ore in più verranno pagate un 15% in meno, riprende quello col microfono: ci vuole tanto a capire che gli straordinari aumenteranno?
Io guardo Paul e vorrei coinvolgerlo, o almeno capire cosa stia pensando, o almeno toccargli un braccio. Provo a spiegargli che la Bastiglia non esiste più – deve credermi – però se esiste ancora un modo di prenderla, adesso che è il duemilaesedici e le baionette stanno nei musei, allora essere qui, in piedi, questa sera, in questa piazza, è il nostro modo di prenderla. Che se c'è qualcosa che si può fare, questi ragazzi la stanno facendo e la faranno. Che oggi funziona così. Ma Paul scuote la testa e si guarda intorno. Ha la faccia di uno che pensa che quelli lì, la Bastiglia, non la prenderebbero neanche se gliela portassero davanti casa coi cancelli aperti e il ponte levatoio abbassato.
Intorno, c'è ancora tanta folla. Qualcuno nel frattempo avrà pure lasciato la piazza, ma c'è ricambio come in una fiera: altri ne sono arrivati e continuano a farlo. Dei ragazzi, vicino a noi, sono arrossati dalla giornata di sole. Alcuni hanno occhialetti da sub sul viso. Devono averli indossati nel corteo del pomeriggio contro eventuali lacrimogeni, e adesso li tengono per gioco e in segno di complicità.
Una ragazza si avvicina a Paul. Gli chiede se ha da accendere. Io no ma lui sì, dice Paul indicandomi. Io non fumo, ma effettivamente un accendino ce l'ho sempre. Perché ho imparato che quando giri per Parigi, se appena appena hai un accendino in tasca, le possibilità di fare incontri interessanti si moltiplicano.
– Eccolo, – dico alla ragazza, che ha gli occhi azzurri tondi e le trecce bionde.
– Come ti chiami? – le chiede Paul.
– Simone, – risponde lei.
– Come la Stella della Senna, – commento io.
Capisco, dalle facce, che non hanno colto. Forse in Francia non è mai arrivato. Oppure loro due sono troppo giovani.
– È un cartone animato che guardavo da bambino... C'era questa ragazza che si chiamava Simone, e abitava a Parigi all'epoca della Rivoluzione Francese. Di giorno vendeva fiori, ma poi la notte metteva su una maschera, tirava fuori la spada e andava a lottare contro le ingiustizie.
– Fico! – dice Paul.
– E era innamorata del Tulipano Nero, che era un altro che girava con la maschera e la spada.
– Allora facciamo che io ero il Tulipano Nero! – dice Paul ringalluzzito.
Simone ride e gli dà un bacetto sulla guancia, che mi lascia divertito e geloso.
E poi non parla più nessuno. Io potrei dire che il cartone si intitola Il Tulipano Nero ma il vero protagonista è La Stella della Senna, però poi sembrerebbe una sviolinata. Oppure potrei dire che in realtà poi nel cartone si scopre che i due sono fratelli, ma non mi va di rovinare il momento romantico. Insomma, resto zitto.
Intanto, un tizio sta dicendo al microfono che non si deve fare l'errore di generalizzare. Alcuni applaudono. Altri rumoreggiano. Ho perso le ultime battute e non so esattamente di cosa stiano parlando. Ma in queste situazioni, prima o poi, c'è sempre uno che dice che non bisogna generalizzare.
– E che lavoro fai? – sta chiedendo Paul.
– Faccio la prostituta, – risponde Simone, con un sorriso naturale e smaliziato.
C'è un momento di silenzio e imbarazzo. Io faccio finta di continuare ad ascoltare quelli col microfono, perché mi sembra molto più semplice che voltarmi.
– Tanto non fate che trattarci come oggetti... E allora d'accordo, come volete, ci sto: faccio l'oggetto, ma mi faccio pagare.
C'è un altro momento di silenzio.
Poi Paul mi tira per una manica e mi chiede sottovoce se per davvero è una prostituta.
No, è una femminista, gli rispondo io.
Ah, ecco, dice Paul. Infatti, secondo me vende i fiori.
Photo by Olivier Ortelpa. |
Paul dice che lui la Bastiglia vuole andare a prenderla coi bastoni.
Ha un piano preciso, dice:
Adesso che tutta la polizia è impegnata a sorvegliare la piazza, noi svicoliamo furtivamente nel fauborg Saint-Antoine, dove ci stanno gli ebanisti. Rompiamo una vetrina e rubiamo i bastoni di ebano, che l'ebano è il legno più duro e più massiccio in assoluto. Poi, con quelli, andiamo a prendere la Bastiglia.
Ci guarda come un comandante guarda i sottoposti: non per verificare se l'idea ci piace, ma solo per assicurarsi che abbiamo capito. Poi si gira verso Simone. Se tu hai pure la spada, tanto meglio, aggiunge.
– Ci sto! – esclama Simone, che non è ancora chiaro che mestiere faccia, ma di sicuro un po' matta lo è.
E insomma ci incamminiamo. Tutti vanno nella direzione opposta alla nostra, ma noi ce ne freghiamo. Del resto, è quello che succede a chiunque abbia una missione importante e segreta, deve pensare Paul.
Prendiamo per una stradina laterale e l'atmosfera cambia completamente. Le botteghe di artigiani non sono più numerose come un tempo. Invece, troviamo locali di tendenza dove bisogna superare la selezione, bistrot alla moda, discoteche di musica latina.
– Ragazzi, andiamo a fare due salti, così ci carichiamo! – dice a sorpresa Simone.
Io, detto tra noi, speravo con tutto il cuore che s'inventasse qualcosa.
– Ottima idea!
– E la Bastiglia?
– C'è tempo...
La salsa si balla su un ritmo di otto tempi, segnati da uno strumento chiamato clave ("sin clave, no hai salsa", diceva il mio maestro), dove il quarto e l'ottavo tempo sono pause, e il primo tempo si confonde col quinto (mai capita la differenza).
Simone ordina un cocktail che berremo in tre e poi si lancia in pista. È una di quelle per cui il ballo è una faccenda innata, una cosa per cui non serve né studiare né contare. Balla da sola per un mezzo minuto e poi ci guarda e si trascina dietro Paul. All'inizio, Paul è un po' impacciato e confuso ma poi si lascia andare, beve ancora un sorso, dimentica la Bastiglia, e mentre balla fa ritmicamente su e giù con la testa. Forse quelli come Paul, mi viene da pensare, sono gli unici che sanno ancora stare bene per davvero, o stare male per davvero, o incazzarsi per davvero.
Io sono un po' divertito e un po' geloso. E mentre guardo Simone e finisco le ultime due dita di cocktail, mi ritrovo a immaginare come sia fatta e cos'è che balli poi sul serio, nella vita, questa ragazza qui con le trecce bionde e gli occhi azzurri tondi. Che mestiere faccia. Che gente frequenti. Se questa sia una serata speciale anche per lei, o se per lei le serate siano tutte così speciali, e quindi di fatto normali secondo una normalità che io però non me la immagino nemmeno. E poi, come affronti le giornate e le persone. Se si ostini in quegli abbracci frontali asimmetrici da coppia chiusa, con cui si inizia ogni latinoamericano, o se invece le piaccia aprirsi appena può ad altre figure più variopinte e vere. E se ogni tanto abbia bisogno di perdersi nei suoi pasitos solitari, come certi portoricani tristi, o se invece sia una che non l'acchiappi mai, perché lei balla sul break, come un tempo facevano a New York...
In un angolo, noto un gruppetto di cinquantenni, che ridono come matte. Forse stanno festeggiando qualcosa. "Inizia con le vecchie", ricordo che mi diceva, scherzando, il mio maestro di salsa quando ero alle primissime armi. Mi avvicino e ne invito una. Per il mio stato arrugginito, è la cosa migliore. Le vecchie – diceva il maestro – non hanno grosse aspettative, non rifiutano mai un ballo, e se balli lentamente non è un problema: sono contente pure loro.
Insomma mi lancio. Sono costretto a contare mentalmente per non perdere il passo, ma qualche figura me la ricordo ancora. Passano mezzore senza che ce ne rendiamo troppo conto. Simone adesso sta volteggiando a mille all'ora con un sudamericano, mentre Paul è appoggiato a una colonna e continua a ridere e fare su e giù con la testa, mentre io mi sto passando una dopo l'altra le cinquantenni del gruppo e loro si divertono e mi diverto anch'io.
La sala inizia a svuotarsi. Paul s'era messo a parlare con un gruppetto, che adesso lo sta salutando. Domani alle sei suona la sveglia, gli stanno spiegando. Paul non lo dice, ma immagino che pensi: "questi so' matti". Io ho salutato a mia volta le cinquantenni e adesso abbraccio Simone, che si è raccolta finalmente vicino a noi. Dentro, non c'è quasi più nessuno.
Usciamo?
Usciamo.
Seduti sopra i pochi resti della Bastiglia, ci stanno un matto, un italiano e una prostituta.
Pare l'inizio di una barzelletta sporca.
Dovete sapere che a Square Henri Galli, dentro un giardino vicino alla Senna, in un angolo discreto e appartato, hanno rimesso in piedi un semicerchio di pietre che sembra vengano per davvero dalla Bastiglia smontata. Noi ci stiamo seduti sopra, da un quarto d'ora, in attesa che riapra la metro.
Simone fuma una sigaretta che le ho acceso io. Paul guarda dritto davanti a sé. Io intanto gioco col cellulare. Il momento somiglia a una pausa tra un terzo e un quinto tempo, segnata sottovoce da una clave.
Alzo gli occhi e guardo i miei due compagni di brigata. Siamo belli e stanchi. In fondo – penso, e un attimo dopo dico – questa notte in piedi, a zonzo nell'Undicesimo, passata a incrociare gente che avesse voglia di incrociare gente, senza sensi di colpa, come gatti randagi e un po' confusi, fregandocene per una volta delle sveglie, è stata un nostro piccolo gesto rivoluzionario. Pensateci.
La Stella della Senna ride e mi dà finalmente un bacetto sulla guancia.
Il Tulipano Nero si gira per discrezione dall'altra parte. Ma non l'ha bevuta.
– Quando ci andiamo, a prendere la Bastiglia? – chiede, dopo quindici secondi.
Per stare più comodo, si è messo le mani sotto il culo. Il culo sta comodo, ma le mani quando le tira fuori sono tutte rosse e segnate dalle pietre.
– Eh, quando ci andiamo... Ad aprile, – faccio io.
– Va bene, – dice Paul. – Che giorno è oggi?
– Oggi è il 49 marzo, – dico io.
– Va bene, – dice Paul.
Raccoglie un sassetto di ghiaia e lo lancia di taglio contro il terreno, come se ci fosse un pelo dell’acqua su cui farlo rimbalzare.
Il sasso fa un paio di saltelli e per il resto, più che altro, rotola.
– Marzo è un mese molto lungo, – dice Paul.
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