questo non è un blog su come trovare casa a parigi, ma magari così qualcuno ci finisce sopra per sbaglio
martedì 16 giugno 2015
formiche su pont des arts
Formiche
A casa di Paul, ci stanno le formiche.
A casa di Paul, se andate a vedere, le formiche ci sono state sempre: nella credenza dei biscotti, sotto il lavabo, nei buchetti tra l'armadio e la parete, dentro la doccia, lungo le gambe del tavolo, in mezzo al Nesquik: a casa di Paul, è sempre stato pieno di formiche.
Però prima le formiche erano formiche piccole. Lui le guardava e mica si metteva paura, delle formiche. Ogni tanto ne schiacciava pure qualcuna. Così. Che servisse di monito a tutte le altre.
E ogni santo giorno, prima di uscire, diceva: – Formiche belle, adesso ve la scampate perché vado di corsa. Ma appena ho un attimo di tempo libero, vi schiaccio tutte. Quest'estate, per dire. Quest'estate, quando vado in ferie, vi stermino proprio.
Prima erano piccole, le formiche di casa di Paul. Formiche normali. Adesso sono diventate certe bestie che fanno spavento. Qualcuna è lunga pure tre dita. Pure mezzo palmo. E mezzo palmo di formica, brutta brutta, pelosa pelosa, ma non è mica uno scherzo. Sono cresciute un po' per volta, giorno dopo giorno.
– Sarà che sono ben nutrite, – dice Paul.
– Sarà che il mio Nesquik gli fa bene, alle formiche, – dice Paul.
E parlano, le formiche di casa di Paul. Mica chissà che discorsi; mica che si mettono lì e fanno il cabaret: però si fanno capire. A lui, per esempio, lo chiamano "Monsieur".
All'inizio era tutto un "Monsieur, bonjour", "Monsieur, bonsoir", "Monsieur, bonne nuit".
Che lui pensava: – Oh, almeno, sono formiche a modo. Educate, rispettose. Persino di compagnia.
Poi hanno incominciato: – Monsieur, ci fa la pasta al pomodoro? Monsieur, ci fa il caffè? Monsieur, la prossima volta che fa la spesa, per favore, si ricordi l'anguria.
Formiche esigenti, son diventate; e hai voglia a spiegargli che il caffè è meglio di no perché mette agitazione, e che per l'anguria siamo fuori stagione.
Una mattina, Paul s'è svegliato e gli mancava mezzo dito mignolo.
– E no, – ha fatto lui un po' risentito. – Così non va mica. Io mi sbatto per voi e questo è il ringraziamento?
– Erano finiti i cornflakes per la colazione, Monsieur, – gli hanno risposto tutte in coro.
L'invasione
Le formiche di casa di Paul, un po' per volta, si sono impossessate dell'appartamento. Il frigo, la tv, il pianoforte: è tutto loro. Hanno iniziato pure a chiamare le formiche amiche dagli appartamenti vicini, e giù a far feste tutte le sante sere. Sono diventate sempre di più e sempre più grosse. E hanno preso a minacciarlo che se ne parla a qualcuno – guai a lui – lo fanno a pezzettini e se lo mangiano vivo.
Una volta ne è arrivata una che era tutta sproporzionata e obesa, e gli ha consegnato addirittura la lista della spesa.
– Monsieur, le parlo a nome di tutte le formiche di questo edificio, – ha detto. – Ci servirebbero: i biscotti, il miele, il cioccolato, le pere e ovviamente l'anguria.
Paul s'è guardato quest'essere strano, brutto peloso e sproporzionato com'era, questi due etti e mezzo di formica, e ha risposto: – Ma certo, signore formiche. Mi diano pure la lista, che torno al più presto.
Ma poi, appena ha messo piede fuori, ha pensato: – Col cavolo che ci torno, là dentro.
– Saranno pure formiche, ma mangiano come cinghiali e si moltiplicano come conigli, – ha pensato Paul.
E però poi, invece, gli è venuta un'altra idea. È andato al supermercato e ha comprato un vestito da formica e se l'è messo. Dovevate vederlo, vestito da formica: era un figurino. Oh, quando è tornato a casa, ma mica l'hanno riconosciuto; l'hanno scambiato per una formica pure a lui.
Allora, preso dal gioco, Paul ha imitato quella vocina idiota che hanno loro e ha chiesto: – Ma dov'è finito il nostro Monsieur? Non è ancora tornato dalla spesa?
E una formica, ingenua ingenua, ha risposto: – Ancora no. Chissà dove si è cacciato. Se non ci porta tutto quello che abbiamo chiesto, stavolta lo facciamo a pezzettini e ce lo mangiamo per davvero.
– Ce lo mangiamo, il Monsieur, – ha ribadito un'altra.
E poi, tutte in coro: – Sì! Altro che, se ce lo mangiamo.
– Monsieur del cazzo, – ha detto una, maleducata, ridendo. E giù tutte a riderle dietro e ripetere: – Monsieur del cazzo, Monsieur del cazzo, ahahah!
E allora sarà che Paul si è spaventato, avranno riconosciuto l'espressione del viso, avranno riconosciuto l'odore... fatto sta che una l'ha indicato e ha detto: – Ma è lui il Monsieur, non lo vedete? È lui mascherato!
– È vero, è vero! – hanno iniziato a ripetere tutte, con quella loro vocina fastidiosa.
E hanno preso a inseguirlo, come bestie carnivore invasate.
Allora Paul è scappato fuori, è tornato di corsa al supermercato e ha comprato: i biscotti, il miele, il cioccolato, le pere e pure un'anguria coltivata in serra.
Pont des Arts
Paul mica mi guarda mai. Tiene gli occhi fissi davanti a sé. Non è che abbia lo sguardo perso, non è che sia assorto nei suoi pensieri. No: semplicemente, lui il collo non lo muove mai, e guarda solo quello che passa nel suo raggio visivo.
Mezz'ora fa, mentre passeggiavo su Pont des Arts, che pensavo ai fatti miei e ascoltavo le canzoni francesi, e guardavo i gruppi di ragazzi apparecchiati sul ponte col vino e il camembert, e gli innamorati con l'insalata e lo champagne, è successo che sono entrato improvvisamente nel raggio visivo di Paul. Lui mi ha urlato qualche cosa che non ho capito. Mi sono girato, ho sfilato le cuffie e l'ho visto, quest'uomo qua, che sembra proprio uscito a forza da una canzone di Brassens. Allora lui, con un tono un po' più dolce, mi ha chiesto se avevo da accendere. Io non fumo, ma da accendere ce l'ho sempre. Perché ho imparato che quando giri per Parigi, se appena appena hai un accendino in tasca, le possibilità di fare incontri interessanti si moltiplicano.
Paul non ci torna più, a casa. Quelle se lo mangiano vivo, mica scherzano.
Una sera, piuttosto, si è fatto coraggio, è andato da sua madre e le ha raccontato tutto. Lei all'inizio lo stava a sentire seria e gli diceva di provare col borotalco.
Poi, quando le ha spiegato bene, ha iniziato a piangere; altro che borotalco. Piangeva, piangeva, piangeva tanto che Paul le ha detto: – Mamma, non preoccuparti, lo so che è una brutta situazione ma sta' tranquilla: io non ci torno più a casa, e loro non mi mangiano.
Adesso, nel raggio visivo di Paul, entra una coppia. Lui è alto e lei è bionda. Lui ha uno zaino grandissimo e lei ha in mano una borsetta e un lucchetto. Si avvicinano al passamano del ponte, si guardano, attaccano il lucchetto in mezzo a un mucchio di altri lucchetti, contano un-deux-trois. Al trois, si baciano e buttano la chiave nella Senna.
Paul, finalmente, e pure un po' miracolosamente, gira il collo verso di me e dice con un tono neutro: – Questi so' matti.
Poi avvicina la mano destra al collo della mia polo e fa come per schiacciare qualcosa.
– Che fai? – gli chiedo.
Lui non risponde e invece schiaccia qualcos'altro all'altezza del mio ginocchio.
Poi schiaccia qualcosa per terra.
– Ma quante cazzo siete? – grida.
Quindi si alza, Paul, e incomincia a pestare a caso di qua e di là; a caso ma con precisione, eh, come dentro un ballo di San Vito scientifico. E certe volte addirittura scalcia. E dice l'equivalente francese di "pussa via" e agita le braccia. Si muove con frenesia sul ponte, che ormai è quasi pieno di gente, e lo guardano tutti.
– Ma queste sono proprio quelle di casa mia! – dice. – Ma adesso pure qua?
E salta via, un po' inseguito e un po' pure inseguendo, sempre pestando e scalciando e ogni tanto dando una specie di buffetto col dito a qualcuno, o passando una mano a spazzolare qualche spalla.
E salta, e corre e pesta.
– Monsieur, un cazzo! – lo sento ancora che urla, mentre si allontana dall'altra parte del ponte.
Le foto di questo post non sono mie. Le ho prese su internet e, detto tra noi, potrebbero anche essere coperte da copyright.
È che io ci sono tornato, l'altro giorno, su Pont des Arts, con la mia bella macchinetta fotografica, ma ho trovato una sorpresa: stavano smantellando tutto. Pare che il Comune di Parigi, proprio qualche settimana fa, abbia deciso di rimuovere i lucchetti perché il loro peso era diventato eccessivo e metteva a rischio la stabilità del ponte.
Non c'era neanche Paul.
[qui la versione audio]
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